Ad un certo punto della seduta di ieri, l’indice Nasdaq è arrivato a perdere quasi il 5%, per poi chiudere con un rialzo dello 0,49%. Per ricordare un “gap” così alto bisogna andare indietro di 42 anni, al 1978. Analogamente il Dow Jones è passato dal – 2,6% di metà seduta al + 0,29% della chiusura, mentre lo S&P ha avuto “un’escursione” da – 2,7% a + 0,28%.
Ai “soliti” e, oramai, arcinoti motivi, si sono aggiunti i “venti di guerra” alle porte dell’Europa, con le truppe russe ammassate ai confini ucraini e la Nato che sta schierando le proprie navi sul Mar Nero, e gli USA che stanno iniziando a spostare alcune truppe nei Paesi baltici. Un clima certo non sereno, anche se parlare di guerra vera e propria rimane un’ipotesi ancora lontana (non credo che i Paesi UE, per quanto aderenti alla NATO e, chi più chi meno, filo americani, permetterebbero lo scoppio di un conflitto davanti a casa, dovendo, tra l’altro, anche se indirettamente, prendervi parte). Quasi certe, invece, nel caso la situazione dovesse precipitare, l’avvio di sanzioni economiche, anche piuttosto pesanti, nei confronti della Russia, che potrebbero arrivare addirittura al blocco delle transazioni Swift, il che equivarrebbe al totale isolamento “finanziario-monetario” della Russia, impedendo qualsiasi transazione. Ricordiamo che la Russia, oltre ad essere tra i più grandi produttori mondiali di petrolio e gas naturale (l’export petrolifero è inferiore solo a quello dell’Arabia Saudita), è il primo produttore mondiale di grano e palladio, e tra i più grandi nel settore dei metalli industriali. Immediate le conseguenze sul prezzo del gas naturale, con un aumento di circa il 20%, che ha portato le quotazioni del megawattora a $ 90. Contestualmente, la borsa di Mosca è scesa di oltre l’8%, con il rublo ai minimi sul $.
Intanto per oggi è prevista, da parte della FED, la riunione del Fomc, il proprio comitato direttivo, riunione che dovrebbe concludersi domani. Crescono, quindi, le attese per le decisioni che potrebbero essere assunte: dato per scontato, con marzo, il primo rialzo dei tassi, rimane da stabilirne l’entità (oltre che alla progressione: si va dai 3 ai 5 rialzi per il 2022), ma, soprattutto, lo “spartiacque” tra una politica monetaria ancora più rigorosa e una più morbida potrebbe essere la decisione o meno di ridurre il proprio bilancio. In altre parole, passare da “compratori” di titoli di debito (treasury e bond garantiti da mutui)a “venditori”, iniziando quindi ad immettere sui mercati una parte dei titoli acquistati in questi ultimi anni. Una situazione simile si verificò nel 2018: Powell, già all’epoca Presidente FED, annunciò che la banca Centrale USA avrebbe ridotto il proprio bilancio, provocando una caduta dei mercati di circa il 20% in poche sedute, tanto che venne presto “inserita” la retromarcia. Ieri, ad un certo punto, il mercato tecnologico americano, nel punto di massimo ribasso intra-day, era arrivato a perdere circa il 18% da inizio anno: un livello che ricorda molto il precedente, e che potrebbe indurre, anche alla luce degli ultima dati macro, con l’indice PMI sui servizi sceso, a gennaio, a 50,9 punti vso i 57,6 di dicembre, a intraprendere strade meno “pericolose”.
In un contesto internazionale così delicato si inerisce la situazione italiana: non è un caso che ieri il nostro MIB sia stato il peggior (a parte Mosca) indice, con un calo del 4,02%. Il rischio, come detto più volte, è che si arrivi alla “paralisi” dell’esecutivo, bloccato dalle trattative sul nome del futuro Presidente. Evidenza ben rappresentata da quanto si è verificato ieri a livello UE: ad un incontro programmato tra i vari ministri degli Esteri per discutere sulle tensioni tra Russia e Ucraina, il nostro Paese era rappresentato, unico tra quelli partecipanti, dall’ambasciatore a Bruxelles, vista l’assenza non solo del Ministro degli Esteri, ma anche dei suoi sottosegretari. Al punto che in serata Mario Draghi ha avuto un incontro telefonico con il Presidente USA Biden, a conferma di quanto il tema sia importante.
La giornata si apre con i mercati asiatici deboli. Nikkei a – 1,66%, comunque sopra i minimi di giornata. Più pesanti i mercati “great China”, con Shanghai a – 2,5% e Hong Kong a – 2%, come Tokyo in recupero verso i minimi.
Contrastati i futures: per il momento verde “scintillante” per i mercati Europei, mentre quelli USA sono nuovamente in ribasso, con percentuali mediamente superiori all’1%. Vix ancora in tensione, oramai vicino ai 30 punti.
In ripresa il petrolio, con il WTI in rialzo dello 0,5%,a $ 83.80.
Soffre il gas, con la quotazione che scende dell’1,79%, $ 3,966.
Stabile l’oro, a $ 1.842.
Cerca un recupero lo spread, che passa dai 144 bp di ieri a 142,7 bp di questa mattina.
Complice il rafforzamento del bund (come tutti i beni rifugio, in presenza di tensioni geo-politiche), tornato a – 0,10%, il nostro BTP è tornato verso un rendimento dell’1,30%. Treasury a 1,71% (non più tardi di 1 settimana fa era a 1,90%).
In “rampa di lancio” il $: questa mattina lo troviamo a 1,1308 verso €.
In cerca di recupero il bitcoin, a $ 36.000 (+ 3,3%).
Ps: una società francese, Airseas, fondata da un ingegnere già in Airbus, rifacendosi al kitesurf (una sorta di surf trainati da una vela simile ad un paracadute), ha sperimentato la prima tratta di una nave mercantile trainata, oltre che dai motori, da una vela gigantesca (in questo caso 500 mq), in modo da permettere un notevole risparmio energetico (circa il 40% in meno di combustibile) e quindi minor inquinamento. Una variante, insomma, della “pedalata assistita” per chi va in bici…